In modo un po’ imprevisto eccoci piombati in poche settimane da una estate tardiva ad un inverno prematuro, con freddo, vento, umidità… ed ecco che le nostre difese immunitarie vanno incontro al classico cedimento, il che è normale quando ci sono bruschi cambi di condizioni climatiche.
Ecco allora che ne approfittano subito microrganismi di tutti i tipi (virus e batteri, talvolta innocui, altre volte patogeni) per eleggere a loro dimora il nostro comodo e accogliente cavo orale!
Ora la domanda è: questo può essere evitato? In realtà prima di rispondere a tale domanda bisognerebbe prima chiedersi se questo deve essere evitato. In realtà un calo fisiologico delle prime difese (quelle che ci difendono nella prima fase delle infezioni) può esserci utile per mantenere in allenamento le “retroguardie” del sistema immunitario.
Però è anche vero che quando si presentano sintomi quali gola molto dolente e arrossata, o talvolta addirittura “in fiamme”, o lesioni da virus sulle mucose orali (stomatite aftosa) che perdurano per svariati giorni, non è mai una cosa da sottovalutare.
Certe situazioni infiammatorie sono a dir poco fastidiose, e in certi casi possono avere conseguenze pesanti sul lavoro, sugli impegni familiari e sul tempo libero.
Per questi motivi vale sicuramente la pena di prestare una certa attenzione a questo argomento, oltre alle altre rubriche del presente blog, allo scopo di capire meglio in che modo le api possono esserci di aiuto in caso di mali di stagione… e non solo.
L’articolo di oggi, innanzitutto, vuole aprire un dibattito sull’efficacia delle preparazioni a base di propoli nei confronti della suddetta sintomatologia riconducibile ai comuni mali di stagione.
L’argomento è quanto mai complesso e non può essere trattato in maniera esaustiva in questa sede. Però possiamo cominciare a fare un po’ di ordine e a porci due domande fondamentali:
- Esiste letteratura scientifica valida sull’efficacia della propoli come rimedio ad affezioni di tipo infettivo?
- La questione dell’estrema variabilità della composizione della propoli, rispetto alle varie aree geografiche di provenienza, costituisce di per se un limite alla validità scientifica generale di uno studio che ha preso in considerazione un lotto di propoli proveniente da una singola area?
Per quanto riguarda la seconda domanda io inviterei il lettore ad analizzare la questione riflettendo su cosa in effetti è la propoli. Ricordiamo allora che la propoli è una miscela estremamente complessa di sostanze resinose, di cere e di composti organici quali olii essenziali e flavonoidi (questi ultimi possiamo definirli come una particolare classe di fenoli/polifenoli). Detti flavonoidi sono solo in parte specie chimiche nella forma nativa che si trovava in piante e fiori al momento di essere prelevati dalle nostre operose amiche alate; infatti si tratta in gran parte del frutto di una vera e propria modificazione chimica da parte di enzimi contenuti nella saliva di queste. Ora, se le api, attraverso le decine di migliaia di anni di evoluzione che le hanno fatte sviluppare in tutto il pianeta, sono giunte a tale complessa miscela, arrivando addirittura ad arricchirla con sostanze praticamente “sintetizzate” da loro… beh, ci sarà pure un motivo. In effetti, la natura ha selezionato api in grado di difendersi dagli attacchi di tutti quegli esseri che potevano insidiare sia fisicamente che biologicamente il loro alveare e il loro beneamato frutto: il miele.
Ecco allora che per le minacce di tipo fisico la natura le ha dotate di un formidabile pungiglione, e per le minacce di tipo microbiologico la natura ha fatto sì che esse sviluppassero questa sostanza (la propoli), la quale, grazie all’estrema molteplicità dei componenti in essa contenuti, è in grado di attaccare più tipi di microorganismi (batteri, funghi, virus, organismi monocellulari) e, prendendo come riferimento un singolo microorganismo, è in grado di attaccarlo su più fronti, scardinando le sue difese e costringendolo alla disfatta. Dunque, la vittoria dell’alveare contro l’infestazione avviene proprio grazie ad un formidabile lavoro di squadra operato da gruppi di sostanze che agiscono in pool, perseguendo obiettivi di attacco diversificati. E questo è un risultato raggiunto e perfezionato nei millenni da ogni singolo alveare, che ha inseguito (adattandosi) con il mutare delle proprie composizioni di propoli le rispettive mutazioni dei microorganismi che le minacciavano, trasformazioni che si rincorrono ancora oggi e che si evolveranno ancora nei prossimi secoli e millenni…
Orbene, io da chimico farmaceutico quale sono, capisco benissimo che molti “addetti ai lavori” vorrebbero caratterizzare, standardizzare in modo univoco una miscela di tale sostanze per poterla incanalare nelle classiche procedure di sviluppo farmaceutico a cui la loro formazione e il loro modus operandi li ha abituati. Ma purtroppo questo, nel caso della propoli, non è possibile! Non è possibile perchè ogni zona del pianeta ha le sue peculiarità climatiche e le sue specie vegetali, e dunque le api nella manifattura di tali “antibiotici naturali” è costretta comunque a tener conto dei mattoni di partenza che la natura mette a loro disposizione. Ma ciò non toglie che il risultato di tutte queste manifatture è sempre quello di aver creato un pool di sostanze sinergicamente attive contro le aggressioni microbiologiche esterne.
Proprio per questo motivo (e cioè considerando quello che è il risultato finale che la natura impone alle api per la loro sopravvivenza) non mi ritengo autorizzato a sentenziare che la conclusione uno studio scientifico fatto su una propoli non possa essere esteso anche ad altre propoli. Quello che conta è il risultato, ovvero la realtà dei fatti che un alveare è in buona salute, indipendentemente dal fatto che talune propoli contengano più o meno certi tipi di flavonoidi rispetto a tali altre
D’altra parte bisogna anche considerare un’altro elemento, e cioè che mentre le piante a disposizione di alveari posti in aree diverse possono presentare una estrema diversità di composizione, le strutture e i meccanismi enzimatici di virus e batteri, anche in aree molto diverse sono essenzialmente tutti molto simili tra loro, con differenze che sfumano di fronte ad una miscela attiva così ad ampio spettro (e lo vedremo in letteratura), una miscela, ricordiamolo, sempre costituita da centinaia di specie chimiche diverse.
Ecco perchè, in sostanza, (e volendo riassumere una plausibile risposta alla seconda domanda), ci troviamo anche qui come in altri casi di fronte ad un concetto fondamentale: il fatto che non posso standardizzare una miscela e dunque una cura non significa che quella cura non funziona.